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AGRICOLTURA 2.0 O AGRICOLTURA SOTTOZERO?

Per. Agr. Federica Toselli

Il bello ed il brutto dell’Agricoltura Italiana

Riflessioni ed esperienze di un Perito Agrario che vive quotidianamente sul campo l’Agricoltura.

Quest’anno, il 2015, come tutti sanno avrà luogo per l’Italia ed il mondo intero, un avvenimento storico importante: EXPO 2015.

EXPO 2015, non è solo una vetrina economica e commerciale, ma di fatto sancisce l’importanza dell’Agricoltura italiana, sia come settore economico che sta alla base di tutto, sia come la fonte di un’alimentazione sana, rivisti in un’ottica moderna, in cui si vuole produrre ed impattare il meno possibile sull’ ambiente.

Tutto questo concetto è riassunto nel motto: FEED THE PLANET, ENERGY FOR LIFE, cioè Nutrire il Pianeta ed energia per la vita.

Fin qui tutto chiaro ed è auspicabile che tutto il mondo intero agricolo, si orienti in questa direzione; l’Italia da qualche tempo ha intrapreso questa strada, ricalcando un po’ il modus operandi dei nostri avi, seppur qualche contraddizione non manca e vale la pena citarne qualcuna, su cui riflettere.

L’EXPO rappresenta per l’Italia un ulteriore occasione per far conoscere tutto il Made in Italy agroalimentare, anche se molte volte, per ragioni di varia natura, le materie prime per realizzare le eccellenze alimentari non provengono da suolo italiano, ma da provenienza intra ed extraeuropea.

Un esempio è dato dalla massiccia importazione di grano duro e tenero (per almeno il 30%), di sugo concentrato di pomodoro ed olio d’oliva.

In quest’ultimo caso, gli ingressi extra Italia, sono aumentati nel 2014, perché le produzioni olivicole italiane, hanno subito un drastico calo, dovuto ai danni del batterio Xylella fastidiosa, che sta decimando a vista d’ occhio, gli uliveti secolari pugliesi.

La ragione che spinge a queste importazioni spesso incontrollate è di natura per lo più economica.

Infatti in Italia si cerca di essere competitivi, ma per gli alti costi di produzione, della manodopera e tassazione, chi è abituato a ragionare con “grandi numeri” in termini di prodotto, ricorre a materie prime estere più vantaggiose economicamente.

Va sottolineato che in alcuni paesi esteri, ad esempio la produzione di grano o di pomodoro da industria, non è svolta solo da agricoltori sottopagati, ma anche da quei prigionieri politici, rinchiusi nelle carceri, costretti a turni di lavoro massacranti a zero diritti; inoltre gli antiparassitari impiegati non sono gli stessi ammessi in Europa ed in Italia, ma quelli dichiarati dalla legislazione al bando, perché troppo pericolosi per la salute umana ed ambientale.

Non esistono quindi, controlli né etici, né fitosanitari; sì va bene un mercato libero…ma libero non troppo.

L’ agricoltura ha un rapporto stretto con l’ambiente e come tutte le attività antropiche, ha un suo impatto.

In Italia, per anni purtroppo si è fatto un uso smodato della chimica per contrastare i parassiti delle varie colture, impoverendo ed inquinando il terreno e le falde acquifere sottostanti. Fortunatamente ci si è resi conto che non si poteva più andare avanti ad un’agricoltura intensiva, direi quasi industrializzata e studiando nuovi modi di fare agricoltura, si è ritornati un po’ alle buone pratiche agricole dei nostri nonni, che vedevano il terreno non come un oggetto “da spremere”, ma la fonte primaria del loro sostentamento, quasi come se fosse un membro della famiglia.

Tutto questo concetto è stato poi concretizzato e reso obbligatorio nel 2014, con il PAN, cioè il Piano di Azione Nazionale, ovverosia l’uso degli antiparassitari deve essere abbinato alla rotazione agronomica delle colture, alla lotta biologica, alle giuste lavorazioni meccaniche dei terreni, alla combustione controllata (in campo) delle potature (nel caso dei frutteti), quello che è poi previsto nella lotta integrata.

Il problema della gestione delle potature, in certi casi ha portato a qualche disguido pratico.

Nel 2014 è stata promulgata la legge n° 6 del 6 Febbraio 2014, che è la conversione del famoso “Decreto Terra dei Fuochi”, che punisce con sanzioni ed arresto, chi abbandona e brucia rifiuti di qualsiasi specie nelle campagne campane, come da molti anni avviene.

Questa legge però limita le buone pratiche agricole, che da sempre hanno annoverato la combustione controllata delle potature, come ottimo mezzo per eliminare uova di parassiti animali e spore fungine, andando a contraddire il P.A.N. che proprio prevede questa pratica, per ridurre l’impiego di antiparassitari.

Fortunatamente un’associazione sindacale agricola, ha sollevato la valida obiezione di non punire gli agricoltori, con l’arresto e per ora, pare che questi problemi non esistano più.

Nonostante la riduzione dell’impiego dei fitofarmaci sintesi ed il ritorno ove possibile, all’ Agricoltura biologica, va sottolineato che eliminare del tutto la chimica dall’ agricoltura è molto difficile, specie per chi opera in pieno campo.

Questo aspetto va tenuto conto, soprattutto se si considera il cambiamento climatico e l’aumento demografico, in atto negli ultimi 5-6 anni.

Il cambiamento climatico ha e sta radicalmente sconvolgendo i cicli biologici di piante ed animali, parassiti compresi, rendendo più difficile l’attacco e quindi il controllo, da parte dei nemici naturali.

Questo lo si desume dal fatto che gli inverni sono molto più miti e corti, temporali e venti hanno assunto consistenza di uragani e trombe d’aria: si va o dal troppo secco all’ eccesso di acqua, con tutte le problematiche che ne seguono.

Per quanto riguarda la crescita demografica nei paesi emergenti, la chimica, meglio una chimica più gentile, serve per garantire produzioni più costanti, adatte a sfamare tutte le persone che in molte zone del mondo vivono al di sotto della soglia di povertà.

Noi moderni Agricoltori, spesso siamo visti come i maggiori fautori delle malattie e grandi consumatori di acqua.

Per quanto riguarda la prima tesi, ci si vuole riferire ai residui degli antiparassitari che possono finire nel piatto, quando si dice ”non sappiamo quel che mangiamo e cosa respiriamo”; in parte è vero soprattutto se le materie prime ed i cibi non sono italiani, ma bisogna fare attenzione ai prodotti già trasformati, è lì che si nascondono la maggior parte delle insidie, per l’ aggiunta di conservanti, coloranti ed additivi di sintesi.

In merito al consumo di acqua, si è vero che ci sono delle colture che ne richiedono più delle altre, come gli allevamenti di bestiame; ma considerato che solo una piccola parte della popolazione italiana è dedita all’ Agricoltura, varrebbe la pena criticare gli sprechi di acqua altrove, ad esempio quello per uso domestico.

L’ Acqua “rubata “da noi Agricoltori non va persa del tutto, poiché una parte rimane nel terreno, per riserva, una parte va nelle piante fruttifere, un’altra nell’ atmosfera ed un’altra ancora si trasforma in latte e carne, nel caso delle produzioni animali.

In pratica applichiamo un noto principio fisico: nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.

Gli Agricoltori hanno anche il ruolo di mantenere il paesaggio ad esempio manutenzione fossi, pulizia dei boschi e nel caso delle aziende multifunzionali, la creazione di boschetti per aumentare la biodiversità autoctona, ecco un altro ruolo che deve essere riconosciuto all’ imprenditore agricolo a titolo principale.

Nell’ Ottica della sostenibilità ambientale non si possono concepire luoghi di villeggiatura senza l’ambiente rurale circostante curato, che fa da cuscinetto alle aree artigianali ed urbane.

Inoltre per rendere l’Agricoltura più vicina a chi “non è del campo”, negli ultimi anni, sono sorte diverse iniziative legate ai temi dei saperi e sapori, agli orti urbani, alle fattorie aperte al pubblico, auspicandosi che questo bisogno di stare con mani e piedi nella terra, sia davvero un volere comune di rispettare la Natura e non una delle tante mode passeggere.

Agricoltura è sinonimo di duro lavoro fisico, per fortuna che le aziende hanno attrezzature meccaniche più o meno recenti, che danno un valido aiuto nelle lavorazioni, anche se molto è affidato alla volontà ed esperienza dell’Agricoltore.

Un ruolo importante lo svolgono le donne imprenditrici agricole, che negli ultimi anni sono aumentate: il 30% delle aziende agricole è gestita da donne, come risposta alla crisi. Le difficoltà non mancano, perché spesso è difficile al credito all’ assistenza, alla ricerca, all’innovazione e formazione, in più c’è sempre il problema del rapporto tra lavoro famiglia, non sempre facile da gestire.

La manodopera impiegata può essere di tipo famigliare, nel caso delle piccole e medie aziende che rappresentano la maggioranza dei casi, oppure da personale dipendente.

Vale la pena riflettere anche su questo tema, perché non in tutte le aziende i dipendenti sono italiani e non sempre equamente trattato.

Fino a pochi anni fa, prima che la crisi economica incombesse, i lavori più umili e sgraditi, tipo lavori in stalla, raccolta manuale di frutta e di ortaggi, erano eseguiti dagli immigrati, i quali molte volte erano e sono sottoposti al duro ricatto del caporalato, fenomeno presente in alcune zone dell’Italia.

Il caporalato è quando, una persona fidata dell’imprenditore, appunto il caporale, va tutte le mattine all’ alba nelle piazze di piccoli paesi, a reclutare chi può lavorare o meno in quella determinata azienda.

Il caporalato, è un fenomeno che va combattuto, perché è lavoro sommerso, privo di tutele sindacali e fiscali, la tariffa retributiva oraria è molto più bassa di quanto previsto dalla legge ed il più delle volte non è denunciato da chi la subisce, pena la perdita del lavoro.

Anche questo fattore va a danneggiare quelle aziende agricole serie ed il mancato versamento dei contributi previdenziali, fanno sì che per colmare tali perdite viene aumentato il peso di tali oneri su chi già le paga regolarmente ed ha bilanci senza tanti ampi margini di guadagno.

Anche la tassazione e d i costi d’ impresa incidono pesantemente sui bilanci aziendali, non favorendo gli investimenti in termine di capitale umano e monetario.

Sembra strano ma è così, dove si parla fortemente di agricoltura, biodiversità, un mondo ed un modo sostenibile dal punto di vista ambientale ed etico, molte volte non lo è dal punto di vista economico.

Un esempio? L’anno scorso con l’embargo verso la Russia, l’esportazione di ortofrutta fresca, ha subito un forte calo, con un abbassamento dei prezzi corrisposti alla produzione pari al 40%.

Tanto per essere pratici, come si può condurre un’azienda quando le Pere Igp, dell’Emilia Romagna vengono mediamente liquidate agli agricoltori a 0, 25-0,30 € al kg., quando la tariffa minima oraria legale, da corrispondere ai dipendenti è pari ai 6,00€/ora?

L’Italia ha molte eccellenze alimentari, oserei dire che ogni regione, ha i propri “ori” alimentari; ad esempio Modena, ne ha almeno tre: uno nero, uno bianco ed uno giallo.

L’ oro di nero di Modena è dato dall’ Aceto Balsamico Tradizionale di Modena,conosciuto in tutto il mondo per i suoi usi;l’oro bianco è il formaggio Parmiggiano Reggiano, da considerarsi prezioso per la sua alta digeribilità adatta anche a chi è intollerante ai latticini ed ai bambini.

L’oro giallo è rappresentato dalla coltivazione delle pere, soprattutto la varietà Abate Fetel, esportata per la maggior parte in Nord-Europa.

Questi sono solo alcuni esempi di “ori” se così si possono definire, di cui ogni territorio italiano è ricco e per fortuna che esistono associazioni, il cui compito è quello di creare guide per lo sviluppo e la valorizzazione di questi tesori; basti ricordare che in Italia le varietà di Mele locali sono circa una sessantina, ma solamente una minima quantità è conosciuta e commercializzata.

Expo è un’importante occasione per il comparto agroalimentare, ma dobbiamo ricordarci di difendere e diffondere la cultura della dedizione alla terra, intesa come attività, il connubio tra paesaggio rurale e naturale, favorendo davvero chi ci lavora e vive delle proprie fatiche.

Tanto per citare qualche esempio basterebbe alleggerire il peso fiscale, tutti i costi di produzione sostenuti, la tassazione su terreni e fabbricati,la burocrazia e l’ accesso al credito, soprattutto per quelle aziende danneggiate del sisma del 2012.

Pochi ci pensano, ma la nostra agricoltura tecnologicamente avanzata rischia di trasformarsi davvero in agricoltura sottozero, da terzo mondo, perché se si ferma il nostro settore, anche l’industria ed il settore dei servizi, subiranno ripercussioni.

Noi addetti ci mettiamo molta fatica, cuore e passione, ma chi ha responsabilità decisionali dovrebbe metterci più buon senso, perché altrimenti quegli “ori” alimentari, citati prima, rischiano di rimanere gioielli da vetrina (expo) e non una miniera inesauribile.

In ultima analisi mi sono venute in mente 3 domande:

  1. A causa delle massicce importazioni di materie prime estere, le nostre produzioni in eccesso se non vengono consumate, vengono distrutte e questo è un oltraggio verso gli agricoltori e chi non ha i soldi per comprarsele. Fortunatamente esistono associazione che si occupano di raccogliere e distribuire il cibo alle varie mense per i poveri. Sarebbe auspicabile che la povertà agricola non divenisse la norma, come dire i poveri danno ai più poveri.
  2. Visto che all’ Expo si parla di Energia per la vita, che fine ha fatto la nafta “verde”? Non quella di colore verde per distinguerla da quella normale per autotrazione, ma il combustibile di origine vegetale
  3. Ironia della sorte, per realizzare i Padiglioni che ospitano la fiera, quanti ettari di terreno agrario sono stati sottratti, visto che una buona parte appartenevano ad un’azienda agricola ancora funzionante?

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Collegio Provinciale dei Periti Agrari e dei Periti Agrari Laureati di Modena